Autunno, ballotte e latte alla portoghese

A tratti diventare adulti è spiegare sensazioni e accadimenti che prima non avevano un nome. 

Ti trovi ad affrontare passaggi della vita e ti ritrovi in situazioni già viste, che a un certo punto hanno un significato. Almeno dentro di te. 

– Mimma venvia infilami l’ago che non vedo nulla accidentavecchi!

– Oioi nonna ma come faresti senza di me… 

Mi posto i capelli dal volto, sono lisci e pettinati, sgraticciati ben bene a suon di pacchine se non tengo la testa ferma da quella donna li, che si muove nel mondo come una sovrana, che decide e dispone sulle cose da farsi ma che quando ha bisogno si sente quasi in colpa, e chiede le cose più semplici con gentilezza e umiltà disarmanti. Come infilare un ago. 

Infilo l’ago velocemente, sentendomi un supereroe contemporaneo, mi appoggio al tavolo con i gomiti e le gambe che giocherellano senza appoggio. Abbasso la testa, intravedo la sua bocca che tiene fermo uno spillo attraverso la macchina da cucire che ci separa. La luce inizia ad abbassarsi, noi due siamo illuminate dalla luce del macchinario. Il mio volto e le sue mani. Due parti di noi che si sono incontrate milioni di volte. I miei sorrisi e le sue carezze, le mie linguacce e le sue pacchine. 

– Che la smetti di dondolare mi viene i’ palletico?

Immobilizzo le gambe.

– Son due giorni che tu mi passi rasente. Che è successo qualcosa?

Immobilizzo tutto il corpo. 

– Mimma, tu chiacchieri sembra tu abbia mangiato le puntine di’ grammofono ma se ti chiedo come stai e cosa hai diventi muta! Ma una via di mezzo troviamola!

Cerco corsi sulle pagine di fondo de La Pulce per imparare a scomparire. Niente. Mi tocca aprire bocca. 

– Nulla nonna. Nulla. 

La provo spesso tutt’ora la sensazione di voler sparire. Non nell’interpretazione tragica del termine. Accade che voglio sparire per non stare nei luoghi e nelle situazioni che mi fanno male, quando devo spiegare cosa sento e ho la chiara sensazione di non essere capita, compresa o semplicemente accettata. 

– Nulla non è vero. Ti vedo sai! E se tu me lo dici ti fo i latte alla portoghese stasera. 

Ecco. La moneta di scambio erano sempre proposte gastronomiche irrinunciabili e il problema era che si accorgeva anche se baravo. 

– Ho leticato con le mie amiche a scuola. 

– Si bona. Te lo metto ni’ capo il latte alla portoghese. Te non ti arrabbi mimma, te ti arrabbi solo con te stessa. Gli altri al limite ti fanno rimanere male. 

La macchina da cucire viaggia e la luce illumina le sue mani che fanno correre veloce la stoffa sotto al piedino. Tutto attorno è buio. L’occhio di bue della macchina da cucire tiene l’attenzione sulla scena principale. Io nella penombra ho appoggiato il gomito sotto il mento, la bocca si è arricciata nel mio solito broncio di quando devo dare ragione a qualcuno e non ho voglia, gli occhi sono fissi sulle sue mani e le gambe hanno ricominciato a penzolare. 

Oggi quella parole mi risuonano come le note di una canzone che ti riporta ad un momento preciso in cui la vita ha voluto mandarti un messaggio. Il rumore della macchina da cucire mi riporta sempre alle nostre chiacchierate autunnali dalla luce che sfuma nel buio, l’odore di ballotte che mi fanno schifo ma se ne cucinano quintali in tutto il periodo perchè piacciono alla mamma che torna stanca da lavorare. 

A volte anche io vorrei tornare stanca da lavorare e trovare tutto quell’amore li, servito nella pentolina coperta dal cencio. A volte perfino già sbucciate. Qualcuno che si occupi di me senza domandarsi se deve riavere qualcosa in cambio, che si occupi di me nonostante i miei risultati, le mie performance, i miei guadagni. Nonostante tutto. 

Crescere significa sapere benissimo che ciò non è possibile. Ma non significa impedirsi di desiderare una sensazione, smettere di provare certe emozioni. 

“Ti arrabbi solo con te stessa” è stato il mio mantra fino a qualche anno fa. Poi un giorno ho deciso di smetterla, più o meno quando te ne sei andata tu. Dovevo trovare qualcuno che si occupasse di me quando te ne sei andata via. E ho iniziato io a non arrabbiarmi più con me stessa, almeno non più così tanto. 

Ho iniziato a perdonarmi alcune emozioni che vivevo, sbagli fatti, paragoni inutili. Ho cominciato a credere che la strada giusta non esista, esiste la strada. La si percorre e alla fine nei sentieri più stretti e ripidi siamo sempre soli. Si rischia di cadere, e la responsabilità non puoi darla a nessuno. 

Crescere significa smettere di affidare la propria idea di se a qualcun altro. Perchè le uniche che possono custodirla sono loro, le nonne. Quelle che inondano le nostre vite di amore incondizionato e a un certo punto ci lasciano sole, spingendoci a fare da noi, spronandoci ad amarci come facevano loro. La prova è questa. Amarsi come la persona che ci ha amato di più nella nostra vita. Incondizionatamente e nonostante tutto. 

C’è chi mi ha detto che crescere significa mettere il cuore da parte, io credo proprio che sia l’opposto. Credo che crescere significhi proprio iniziare a vivere sintonizzandosi con il proprio cuore e osservare da li la realtà che ci circonda. Dal posto più sicuro che c’è. 

Si fa buio nella stanza, la macchina da cucire è spenta, la tavola viene sgombrata e si prepara ad accogliere tutti, ognuno con la sua giornata, ognuno con le stanchezze e gli entusiasmi. 

Il latte bolle, lo zucchero si scioglie nel tegamino e a breve tutti gli ingredienti saranno versati nello stampino. L’odore del caramello profuma la casa, le ballotte per la mamma e per me il latte alla portoghese. Ognuna con la sua coccola, ognuna con gli ingredienti perfetti per l’amore, quello perfetto.

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