Tra Cieli e Terre, Il Matto – Racconto di Elena Miniera

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In paese nessuno sapeva da dove veniva.

Quel gruppo di case alle pendici delle montagne lo accoglieva come un nido, anche se erano sconosciute le sue origini e il suo nome.

Lo chiamavano Il Matto, e a lui l’idea piaceva tanto da non aver mai sentito l’esigenza di svelare il suo nome.

Un luogo che sembrava dimenticato da Dio, incastonato fra montagne da cui tutti fuggivano per raggiungere la città e le comodità e dove invece per lui c’era tutto.

Un sole luminoso che scaldava il paese durante il giorno, panorami mozzafiato in cui lanciarsi con capriole e salti, il maestoso vento con cui parlare e di cui ascoltare i messaggi ogni volta e albe di lune per cui sorprendersi.

 

Attorno al suo mistero si erano costruiti racconti degni di una bella antologia, il suo vestire stravagante e scanzonato, la sue giovane età, quell’energia primizia, come se tutto accadesse la prima volta per lui che sprigionava entusiasmo da ogni gesto e ogni esclamazione.

Nessuno immaginava da dove venisse,

tutti se lo chiedevano ma nemmeno lui lo sapeva.

Chi era, da dove veniva, le origini della sua famiglia. Era tutto un mistero.

Il suo estroso vestito era legato in vita da una corda rossa arrotolata come quelle della passamaneria di corte, portava con sé soltanto un piccolo sacchetto, all’apparenza leggero e con poche cose dentro, e accanto a lui un fedele cagnolino che lo seguiva ovunque.

Era sempre al suo fianco, con lui Il Matto parlava mentre si addentrava nei boschi,  a lui chiedeva consiglio, con lui trascorreva tutte le sue fantasiose e mirabolanti avventure.

Erano completi insieme, si bastavano l’un l’altro, osservavano il mondo restando meravigliati per tutto ciò che incontravano con stupore lungo la loro strada.

Persone, animali, oggetti.

Tutto era meraviglia per loro, energia creativa. Tutto era un inizio, una prima volta.

Il Matto amava camminare lungo i sentieri esposti della parete nord della montagna, quella che si affacciava con grandi strapiombi sul fiume che attraversava poi il paese.

Quella mattina dopo aver colto e mangiato una manciata di fichi dall’albero accanto al fiume, ascoltando il vento, aveva sentito il bisogno di andare lì. Con lui il suo cagnolino e un fiore di Cicoria nel taschino della blusa, colto proprio accanto al grande fico diverse settimane prima che non ne voleva sapere di appassire nonostante fosse adagiato nella tasca senza nutrimento.

Arrivarono sul sentiero che sfiorava il piccolo canyon dove il vento si era fatto più forte, come a festeggiare il loro arrivo.

Mentre si apprestava a salire su una roccia esposta per vedere meglio il panorama il fiore che aveva nel taschino volò via, precipitando nel vuoto, quasi danzando in una folle danza accompagnato dal vento.

Il Matto si stupì, meravigliato, del volo che aveva intrapreso il suo fiore e rimase a bocca aperta e occhi spalancati.

Sentì il bisogno di seguirlo, come se fosse un invito, affidandosi alla magia del vento e alla sensazione di vuoto che amava sentire sotto di sè.

 

Guardò negli occhi il suo cagnolino che scodinzolava felice, gli fece un cenno con la testa e insieme si buttarono giù, fluttuando nella meravigliosa

sensazione di libertà che il volo da a chi si affida ad esso.

Se ti fidi dell’atterraggio il volo sarà soltanto un’esperienza meravigliosa.

 

E volarono.

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